La Bandiera dello zio
Arrigo
Quando l’altro giorno
il babbo mi ha detto che era stata svuotata la casa dello zio
Arrigo, per metterla in vendita e che in una scatola aveva rinvenuto
una vecchia bandiera, ben piegata, del Paperone, il cuore mi è
balzato in gola. Che sciocco ero stato a scordarmela, eppure da
bambino l’avevo vista appesa alla parete della grande sala, in mezzo
a tanti altri oggetti così diversi fra loro.
Tutte le volte cha andavo a casa dello zio avevo come l’impressione
di trovarmi in una specie di museo.
La sala, che dava sul giardino, era zeppa di cose: scimitarre,
elmetti, monete antiche, orologi e poi… quel bandierone alla parete,
bello disteso, che aveva gli stessi colori della bandiera italiana
con sopra un’oca tronfia e un po’ maligna che mi fissava.
Confesso che ne riportavo
sempre un’impressione poco gradevole, finché un giorno, avrò avuto otto
anni, lo zio cominciò a parlarmi di un mondo fatto di strani simboli, che
parevano rimandare a qualcos’altro. Cosa si nascondeva dietro a nomi come
Drago, Civetta, Aquila, Oca. Quello zio, bonario ed un po’ stravagante, con
voce da narratore attaccava: <<Devi sapere che questi animali altri non sono
che i nomi di ognuna delle 17 Contrade….>> Ed io ero rapito dal suo modo un
po’ anacronistico di raccontare le cose. Qualche anno più tardi,
precisamente nel ‘75 d’agosto, mentre mi trovavo all’Isola d’Elba in vacanza
con i miei genitori, mi capitò di assistere in televisione al Palio “quello
dello zio Arrigo” - lo chiamavo, e l’Oca c’era. Non era un animale, né tanto
meno una squadra composta da individui, ma soltanto un fantino a cavallo con
la casacca un po’ larga, in mezzo ad altrettanti cavalli e fantini poco
distinguibili nelle immagini ancora in bianco e nero. Il resto sarebbe
venuto col tempo.
Lo zio Arrigo, fiorentino come me,
probabilmente entrò in contatto con Fontebranda alla fine degli anni Cinquanta,
tramite il suo impiego ai Macelli Comunali di viale Corsica e s’innamorò subito
del Paperone, anche se non mi risulta che fosse in rapporti stretti con la
Contrada. Mi
chiedo perciò, ancora oggi, come sia riuscito ad entrare in possesso di questa
prestigiosa bandiera. Morì nel ‘87, quando la mia teledipendenza paliesca era
già cominciata, ma fu soltanto dieci anni dopo che, anche nel suo ricordo,
decisi di entrare attivamente a far parte della Contrada come protettore per poi
ricevere il battesimo nell’anno 2000.
La bandiera di cui parlo è composta di singole parti cucite insieme, si direbbe di una
quarantina di anni fa. L’ho mostrata al dott. Enrico Toti, responsabile del
Servizio Musei e Attività Culturali nell’ambito del Complesso Museale di Santa
Maria della Scala, nonché contradaiolo dell’Oca ed esperto in bandiere della
Contrada, il quale si è così espresso: << Questa bandiera è stata senz’altro
realizzata intorno alla metà degli anni Sessanta, sotto il provveditorato di
Ezio Gatterelli, con me vice-Provveditore. Ero giovanissimo,
entrai in Piazza come alfiere a 15 anni e nella sedia direttiva a 16. A quei
tempi i disegni delle bandiere venivano tutti concordati con Pietro Fontani, uno
dei figli del mitico Sor Ettore.
Con due bandiere simili alla tua,
io ed Enzo Luppoli, sfilammo in Piazza come alfieri fino al 1967; poi le
cambiammo nel palio vittorioso del 1968, per il quale ne furono usate
altre due
donate dalla famiglia Fontani in memoria di Ettore e Argia, scomparsi poco tempo
prima. Nel 1969 e per qualche altro anno ancora continuammo con un disegno
praticamente identico a questa, finché, negli anni ’70, fu definitivamente
modificato. I pittori variavano spesso, ma l'autore della tua potrebbe essere
stato un certo Emilio Barbucci, appassionato artigiano dell'Istrice nonché
personaggio simpaticissimo, scomparso anch’egli ormai da molti anni>>.
Mi congedo da Enrico ringraziandolo per il suo tempo ed i suoi ricordi che
impreziosiscono ancor più questo magnifico vessillo; adesso mi è venuto il
desiderio di intraprendere un percorso a ritroso per scoprire qualcosa di più
sullo zio e su questa bandiera.
Si ringrazia ENRICO TOTI
per la gentile collaborazione
Massimo Tinti, 06/2006
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