Vengo ora dalle Fonti dopo aver compiuto la mia “solita” scaramanzia. Padre, Figlio, Spirito Santo ed un Paternostro recitato sottovoce tre volte, bagnandomi le tempie con quell’acqua così limpida e fresca, unico ristoro in questa febbre d’attesa.

Il Rugi ha già preso il tamburo e la bandiera        Ferruccio "Ciuccio" Brizzi... in ottima compagnia.

Mi trovo alla Trieste, un quarto alle sette, il tempo non passa, ma ora mi siedo e non mi rialzo più. Mi guardo intorno, accidenti quanti siamo! Gente del Petriccio, altri di Bolzano. Sudati, ansiosi con i cinturini appiccicosi degli orologi. Ogni tanto la gente che entra dall’orto lascia filtrare la luce all’interno della Trieste che squarcia per un attimo le tenebre.
Duecento persone, forse di più, con il cuore in Piazza e gli occhi fissi sul grande schermo. Il Palio ha fatto il suo ingresso, ancora un mezz’ora. Enrico c’è, Gabriella c’è, Daniele c’è, Alessandro pure.
Entrano, si va alla mossa. Siamo quarti, e fermi fermi. Davvero niente male, ma perché la TARTUCA non entra? Tocca aspettare ancora poi… è un sussulto fino al I S.Martino.
Le seggiole volano per terra: il PAPERONE è passato primo. Comincio a saltellare ritmicamente, so che d’ora in poi fino al bandierino il tempo si fermerà quasi… Eppure non riesco a guardarmi intorno, sento Enrico che grida: <<Vai, vai Oca bella>>. Ma io continuo a guardare quello schermo e le zampe del cavallo bianco. Sento che se non cade ce la farà. Dietro il MONTONE è caduto ed il NICCHIO sembra troppo lontano. Se non sbagliamo - e ripenso a Braccio di Ferro – è fatta. E così mi bevo con gli occhi tutto il secondo giro, tremando soltanto un poco al II S.Martino. Ma dopo il Casato, ecco che una noia, una lenta smania si rifà sotto. Questo NICCHIO prende terreno e sembra che alla RAI – perché alla Trieste oggi il Palio si guarda alla RAI – abbiano messo il rallentatore. <<Ci si fa, ci si fa>> - mi faccio coraggio. E vai con il III S. Martino. << E’ andata>> mi dico <<ora basta controllare e chiudere bene il Casato>>. Mi sto quasi rilassando, quando intuisco un cavallo che ci viene addosso e dico intuisco perché l’ho intuito prima di vederlo. Sgrano gli occhi e faccio un salto, quasi per superare idealmente quell’ostacolo e si compie il miracolo. Non so come Giovanni abbia fatto ad evitarlo, ma perdiamo l’andatura di quel tanto che basta per colorare di blu lo spazio di tufo intorno a noi.<<Nerbalo, chiudilo, mordilo…>> non so cos’altro io abbia urlato in quel momento. Fatto sta che il bandierino non si vede ancora ed il NICCHIO ci è addosso, anzi si sta buttando all’interno. Il Tittia alza il nerbo. <<S’è vinto, è OCA, è OCA…>>. Scavalchiamo le seggiole sparse per terra e spintonandoci l'un l'altro schizziamo sulla via ancora deserta e sospesa nell’incanto della corsa. Non sembra vero, finalmente mi guardo intorno. <<S’è vinto, S’è vinto il Palio>>. All’incrociata il Rugi ed altri hanno già le bandiere in mano, ma a metà della Galluzza, l’urlo di qualcuno mi fa piegare le gambe. <<Fermi, fermi non s’è vinto>>. <<E’ NICCHIO, hanno messo la bandiera del NICCHIO fuori dal Comune.>> La voce di una donna taglia l’aria, come una ventata gelida e dura. <<Non è possibile>> - penso <<ho visto che avevamo vinto, non è possibile>>. Ma dentro di me si apre un tormento. Faccio ricorso al mio recente passato di conoscitore di corse al galoppo, di tutti gli arrivi al fotofinish non ne ho mai sbagliato uno, ma qui non siamo al Visarno, non siamo a San Siro. Eppure… Il Rugi sventola ancora la bandiera. Basta torno indietro alla Trieste, davanti allo schermo. Ridanno il replay. <<Ma è OCA di mezzo cavallo, non lo vedono?>> - grido un po’ rincuorato. Ma in Piazza la situazione è ancora irreale, poi finalmente Mario mette fuori dal Comune la nostra bandiera. <<E’ OCA, è OCA s’è rivinto>> - come dirà il Burroni in un sonetto scritto ancora a caldo. Ora in Provenzano, e via di nuovo di corsa, alla faccia della pressione arteriosa, su per la Galluzza fino a Piazza Indipendenza. Tutti ci salutano, ci gridano bravi, un ragazzo del Montone mi abbraccia piangendo.
Alla Trieste ora non c'è più nessuno, le seggiole sono sparse, alcune rovesciate, qualche anziano è tornato nell’orto a brindare con un bicchiere di vino. Fra poco sarà chiusa. L’unico spicchio di Fontebranda che stasera se ne resterà in silenzio.

Massimo Tinti