VIA
DELLA PANCACCIA ... ovvero VIA
SANTA CATERINA
<<"... iuuu!! Oh cittina! Bada che anche qui da me ci si sente!>>.
Bene, dopo il Tiratoio e la Galluzza non potevo pensare che Via Santa
Caterina se ne rimanesse zitta, zitta; e infatti la sua voce era dolce, ma
anche autorevole:
<<Scusa cara, non penserai davvero che ti lasci scappar via
senza nemmeno ascoltare un po' quello che ho da raccontarti? In fondo sono o
non sono la via principale di questa Contrada?>>.
In quel momento mi sentii in difficoltà perché tutto sommato aveva
ragione e non poco imbarazzata mi misi a sedere all'incrociata, dove la
strada che viene giù dalla Costa di Sant'Antonio forma quasi uno scalino e
senza dare troppo nell'occhio ai passanti cercai di salvarmi la faccia al
terzo Casato: <<No, hai ragione guarda, il fatto è che pensavo di
dedicarti un tempo speciale, pensavo di tornare e rimanere a chiacchiera con
te una mattina intera!>>. Non lo so se mi ha creduto o se mi ha solo
voluto bene, come fanno le zie con le nipotine; fatto sta che si è
illuminata con un raggio di sole e ha iniziato il suo racconto:
<<Sono molti gli episodi che raccontano di presenze e gli abitanti di questa
via possono testimoniare. Non vorrei proprio togliervi il divertimento di
andare, chiedere, domandare, ascoltare i racconti di vecchi e giovani; ma la
più importante presenza che si sente, qui per questa piaggia, è l'anima
della Santa che mi dà il nome. Ci sono giorni che il suo mantello si
sente strusciare sulle pietre confuso con lo sventolio delle bandiere; altre
volte che la sua voce, mescolata allo scialacquio di Fontebranda, risuona
fino in cima alla via>>. Si fermò un attimo, non so se per riprendere
fiato o per farmi riflettere su quello che mi aveva appena detto, ma quando
ricominciò il racconto la sua voce sembrava serena, orgogliosa e divertita:
<<Prima che questa Santa cittina nascesse nel casa del tintore Jacopo
Benincasa, questa strada era divisa in due parti: la parte più alta fino
all'incrociata si chiamava via della Pancaccia, mentre la parte inferiore,
dove avevano casa molti dei tintori che lavoravano nel rione, veniva
chiamata Costa dei Tintori>>. <<Via della Pancaccia?>>, domando
incuriosita <<oh ch vol dì?>> <<Beh le panche spero tu sappia cosa
sono! Ecco gli storici non hanno trovato una spiegazione tecnicamente valida
a questo nome, ma ti garantisco che per queste pendenze, se mettevi una
panca fòri dall'uscio pé sta a veglia 'un era tanto comoda, un po' come
quando voi mangiate per la strada e mettete le sedie con la spalliera
rivolta verso le Fonti per non andà in terra! Insomma, le donne, ma anche
gli uomini di Fontebranda, hanno sempre amato rimanere a veglia per la
strada e questo si vede anche ora. Sbaglio o davanti alla Società Trieste
avete anche messo dei portavasi rigirati per potervi sedere a
chiacchiera?>>. Aveva proprio ragione, abbiamo un grande salone, un
orto delizioso, eppure ci piace starcene per la strada. Volevo rispondere,
ma non ne ebbi il tempo perché l'autorevole Via proseguì senza aspettare:
<<Certo che quei due vasi di cemento potreste anche dipingerli di
bianco, rosso e verde no? Un sarebbero mica brutti?>>. Poi si
riprende, si schiarisce la voce e ricomincia il racconto: <<Come ti
ho detto, la nascita si Santa Caterina ha portato tanti cambiamenti e quando
nel 1380 morì, il culto di Caterina è continuato anche e soprattutto per il
volere dei contradaioli dell'Oca. Così, nel 1871 mi hanno chiamato via
Benincasa e solo nel 1927 mi hanno finalmente dato il nome che porto adesso,
che poi è come il popolo di Fontebranda mi ha sempre chiamato>>.
Pensai che il portare un nome come quello deve essere un'eredità piuttosto
pesante, così non potei fare a meno di esclamare:<< Certo che è una grande
responsabilità portare un nome come il tuo!>> La vocina si fece più
familiare, più vicina a quel tono colloquiale che si tiene con gli amici e
senza timore mi disse:<<Beh! Un po'ino sì; sai, bisogna tenere un
contegno , nei giorni di festa bisogna mi metta il vestito bòno, però ci
sono i suoi vantaggi: per esempio, ho un rapporto speciale con la nostra
Caterina>> A questo punto ero veramente incuriosita: << In che senso
scusa?>> << Beh che spesso mi racconta un po' di cose>> << Di
che genere? Tipo? Dimmi qualcosa dai?>> Ero diventata insistente. <<
Guarda, parliamo di cose recenti. L'Oca l'anno scorso ha vinto il Palio di
luglio (anche se qualcuno continua a dire - non sappiamo, non sappiamo) e
come sempre Santa Caterina ci ha messo la mano. Ti spiego meglio: Santa
Caterina sapeva bene che sarebbe dovuta andare a Londra ed aveva bisogno di
un po' di coccole da parte del suo popolo. Bene, in primavera mi confessò
che questo era il vero motivo per il quale ogni tanto si prodiga per la
vittoria: bisogno di coccole>> << In che senso scusa?>> (non avevo
capito bene) << Certo che anche te sei "dura"! Il popolo di
Fontebranda scende sulle mie pietre unito e compatto una volta all'anno,
quando per il giro i monturati mi adornano, le donne mi illuminano e i
bambini mi fanno il solletico con i fioricini. Il giro era passato e Santa
Cate sentiva il bisogno di avere il popolo vicino e unito nella gioia prima
di intraprendere il lungo viaggio oltremanica. Così, pochi giorni prima
dell'estrazione di maggio, mi confessò che avrebbe fatto di tutto per far sì
che l'Oca uscisse a sorte. Pochi giorni dopo, però, Caterina tornò a
sfogarsi con me e si mostrò preoccupata perché si era resa conto che non era
sufficiente correre un Palio per avere a sé il popolo festante. Non era
convinta perché in effetti, anche quando tutti compatti rientrate in
Contrada dopo la prova, nella migliore delle ipotesi arrivate all'Incrociata
poi vi sparpagliate. In quei giorni protagonista è il cavallo ed è anche
giusto che una volta all'Incrociata si scelga di andare in piazzetta o
rimanere o rimanere a chiacchiera alla cannellina. Per questo, a metà giugno
tornò da me e mi confessò che lei sapeva come fare e avrebbe fatto di tutto
perché si verificasse quella situazione speciale per cui avrebbe potuto
abbracciare tra le lacrime tutto il suo popolo>>. Ero ammutolita, non
avevo più niente da dire, stordita e pensierosa rimasi seduta sullo scalino,
un soffio di vento mosse le bandiere ancora esposte alle finestre e
proseguì: << E questo è solo l'inizio, avevi ragione sai? A me devi
dedicare una giornata intera, ora vai a lavoro ma torna, con calma, ci sono
tante cose che devo raccontarti>>. Mi alzai, guardai verso le Fonti,
poi verso quella che fu la Pancaccia e pensierosa cominciai ad incamminarmi.
FINE
Per gentile
concessione dell'autrice del racconto
BARBARA TOTI
│indietro│
|