La
pagina di Alessandro Mori, romano e ocaiolo.
...E si sogna.
E' mattina presto.
I raggi del sole hanno già inondato la parte ad occidente della
piazza, e laggiù l'aria comincia a riscaldarsi, nella parte
orientale e a meridione il sole arriverà solo tra alcune ore e
allora si farà sentire. Il tufo è in ottime condizioni: nei giorni
precedenti non è piovuto, le bagnature e i passaggi dei mezzi per il
compattamento hanno dato un ottimo risultato.
I curiosi si attardano a comparire sulla piazza, i pochi presenti
sono gli addetti alla pulizia e qualcuno che l'ansia e la curiosità
ha fatto alzare dal comodo letto oltre alle persone che hanno il
compito di accogliere i cavalli. Ecco, da dietro l'angolo si sente
un nitrito e il primo cavallo si affaccia nella piazza. Ecco ne
arriva un altro e poi un altro ancora, comincia la sgambatura sotto
il Palazzo Pubblico in attesa della chiamata per il riconoscimento
di rito e poi via dentro l'Entrone per l'apposizione del numero
sulla coscia.
L'area riservata presso l'Entrone si comincia a popolare dei soliti
personaggi: cavallai, fantini, esperti, persone vicine a questo o a
quello e amici di questo o di quello. Dall'altra parte della pista,
dietro il cancellato, invece ci sono i curiosi, ci sono coloro che
con macchine fotografiche immortalano i cavalli e i loro
accompagnatori, ci sono turisti, un numero discreto di spettatori
ognuno con i suoi buoni motivi per essere lì. I cavalli sono tutti
entrati, i più attenti si accorgono che qualche cavallo non ha fatto
la sua apparizione: qualcuno rimane deluso se il cavallo assente ha
un nome importante, i più esperti commentano la loro assenza, altri
non si accorgono nemmeno dell'assenza.
Il rito dei quattro giorni ha avuto il suo inizio. Il primo giorno:
la Tratta. Il pubblico comincia ad affollare la piazza, gli addetti
cominciano a far pulito poi arriva il Mossiere, arrivano i capitani
con i loro mangini, tutti occupano il posto assegnato, il pubblico
sulle tribune siede ordinatamente, gli ingressi vengono chiusi, un
rullo di tamburo, lo sventolio di una bandiera bianca ed escono i
cavalli per la prima batteria, il Mossiere adempie al suo compito
dando la mossa: i cavalli partono, qualcuno corre, altri vanno al
trotto, altri passeggiano. Le batterie si susseguono l'una dopo
l'altra fino all'esaurimento dei cavalli iscritti. Il pubblico
guarda l'Entrone per vedere se escono cavalli chiamati per una
batteria di recupero invece le porte si chiudono.
E' iniziata la scelta dei cavalli. Le ore passano ed ecco si apre la
porta dell'Entrone: i cavalli scartati cominciano ad uscire e i loro
nomi vengono cancellati dalla lista da chi ne è in possesso. Sono
rimasti dieci cavalli e si sentono i vari commenti sulla scelta
fatta: nell'insieme sono, in massima parte, cavalli di prestigio,
c'è qualche novità e sono in molti ad avere buone speranze.
Le chiarine squillano. Ha inizio uno dei momenti di maggiore
tensione, tutti si chiedono se la Sorte sarà benevola o se la Sorte
girerà le spalle. Vengono svolte le operazioni di imbussolamento
delle ghiandine con i numeri dei cavalli e i nomi delle Contrade. Le
chiarine squillano di nuovo ed un silenzio irreale scende sulla
piazza ormai gremita da uomini, da giovani, da bambini, da donne
tutti con i loro fazzoletti con i colori di appartenenza, oltre agli
immancabili turisti.
Si sente il rotolare delle ghiandine nei bussolotti, la voce del
primo cittadino annuncia il numero del cavallo estratto e subito
dopo annuncia il nome della contrada a cui è stato assegnato.
E' una brenna, il popolo contradaiolo esce di piazza in silenzio
accompagnando il cavallo, chiedendosi perché la sorte è stata
malevola. L'estrazione si ripete ed ora viene assegnato un bombolone
il popolo della contrada baciata dalla Sorte esulta, qualcuno piange
per l'emozione, qualcuno altro tenta un sogno di felicità e gloria.
Si esce dalla piazza cantando canzoni per dileggiare l'avversaria.
Le scene di canti o di lacrime si ripetono fino al decimo cavallo. E
poi tutti si va a vedere da vicino il cavallo toccato in sorte: è
magro, è robusto, sta in salute, è potente. E quale sia il cavallo
che la sorte ha assegnato, si sogna; oppure si prende coscienza che
con il cavallo che hai nella stalla non puoi andare molto lontano.
Ora manca solo l'assassino: chi monterà questo cavallo? Questo
cavallo l'anno scorso è stato montato dal questo fantino e ha fatto
un buon palio. Io ci vedrei bene quel fantino! Io ci vedrei bene
quell'altro!
Ognuno vede il suo fantino e fa i suoi commenti.
E si sogna. Si avrà la certezza di chi monta il cavallo solo la
mattina della carriera, ora si vedrà un fantino che proverà il
cavallo. E' il primo pomeriggio, cominciano a girare i nomi dei
fantini, c'è chi dice che il fantino scelto è una ottima monta per
il cavallo toccato in sorte.
E si sogna. C'è chi dice che il fantino scelto non ha grandi
possibilità anche se il cavallo è buono.
E si sogna. C'è chi dice che il prossimo anno andrà meglio.
E si sogna. E' il tardo pomeriggio del primo giorno.
I cavalli arrivano in piazza accompagnati da cortei dei popoli delle
contrade a cui sono toccati in sorte, dai barbareschi, dai capitani
e dai fantini. I popoli cantano per incitare il fantino, cantano per
farsi coraggio, cantano contro la contrada rivale per intimorirla se
l'accoppiata cavallo fantino è di quelle che intimoriscono, cantano
anche se l'accoppiata non è proprio di quelle che suscitano rispetto
ma si canta per dimostrare che “paura 'un se n'ha!”.
E si sogna. Un rullo di tamburo, uno sventolio di una bandiera, lo
scoppio del mortaretto. E' la prima prova. Escono i cavalli dall'Entrone,
ognuno guarda il cavallo con i colori della propria contrada, vanno
alla mossa, entrano nei canapi, qualche cavallo è calmo, qualche
cavallo è irrequieto.
Viene data la mossa: i cavalli partono, qualcuno parte bene,
qualcuno è un po' lento, qualcuno è pronto allo scatto ma non
scatta. Ognuno degli spettatori interessati vede lo stesso cavallo e
ognuno lo vede in modo diverso. Un fantino prova la curva di San
Martino, un altro prova la curva del Casato, un altro ancora prova
lo scatto sulla spianata, un altro ancora vede come si comporta il
cavallo con il brusio della folla. Scoppia il mortaretto, è la fine
della prima prova. I popoli delle contrade escono dalla piazza al
seguito del proprio cavallo, del proprio capitano, del proprio
fantino, sempre cantando per dileggiare l'avversaria.
E si sogna. Questo spettacolo si ripeterà per altre cinque volte è
si vedrà crescere il cavallo e l'affiatamento tra cavallo e fantino
e cresceranno i sogni dei popoli, anche di quelli verso i quali la
sorte non è stata benevola, perché tutto può sempre accadere.
E si sogna. E' il pomeriggio della carriera. La piazza è gremita. Il
vocio è assordante. I cori si intrecciano e si sovrastano. Gruppi di
questo o quel popolo sono vicini, macchie di colori stanno ad
indicare questo o quel popolo: è uno sventolio di fazzoletti, ormai
manca poco tempo alla coronamento di un sogno ma altri nove sogni
verranno infranti e ce ne sarà uno che nessuno vorrebbe vedere
realizzato: la vittoria della contrada nemica.
E si sogna. E' il primo pomeriggio, ci si ritrova per la benedizione
del cavallo, ormai il momento del coronamento di un sogno e la fine
di altri nove è vicino, il vocìo dei contradaioli è forte: si parla
di tutto, meno di un argomento: di ciò che tra poche ore dovrà
accadere, si sente il suono degli zoccoli del cavallo sulle lastre,
si fa silenzio, arriva il cavallo accompagnato dal fantino e dal
capitano, il correttore recita le preghiere di rito, invoca il Cielo
per la protezione del cavallo e del fantino dai pericoli della
carriera e poi urlando dice al cavallo “Va e torna vincitore!”, il
popolo della contrada si abbraccia, ci si fa coraggio l'un l'altro,
si abbracciano le comparse, si abbraccia il capitano e poi si va, le
comparse partono per il corteo storico, il cavallo ritorna alla
stalla, il capitano e il fantino si ritirano per mettere a punto gli
ultimi dettagli per la carriera, i contradaioli vanno secondo le
proprie tradizioni, ognuno con la propria ansia, tutti con la stessa
preoccupazione.
E si sogna. Ora il Sunto tace, ecco il “cencio”, ecco il primo
cittadino, ecco il Mossiere, ecco i capitani, tutti si avviano al
loro posto, un rullo di tamburo, uno sventolio di bandiera, scoppia
il mortaretto.Escono i cavalli dall'Entrone. I dieci assassini
prendono il nerbo per incitare il cavallo e per difendersi dagli
attacchi degli avversari e per offendere gli avversari, salutano i
monturati e si avviano alla mossa, fanno tondino, arriva la busta
sigillata con l'ordine d'entrata nei canapi, scende sulla piazza un
silenzio irreale.
E si sogna. Il Mossiere chiama la prima contrada: un brusio di
disappunto e un grido di gioia, viene chiamata la seconda contrada
stessi rumori, viene chiamata la terza contrada grida di disappunto:
contrade nemiche sono vicine, e così fino alla nona contrada: la
decima è di rincorsa, i suoi contradaioli esprimono il loro
disappunto e la loro delusione: il primo di dieci sogni sta per
infrangersi, ma tutto è ancora in mano alla Sorte. C'è un po' di
confusione tra i canapi: i cavalli vengono fatti uscire. Si fa di
nuovo tondino e i fantini, a turno vanno a parlare con la “rincorsa”
per un accordo.
E si sogna ancora. I cavalli vengono richiamati tra i canapi, ora
c'è meno confusione. Entra la rincorsa, cade il canape: la mossa è
valida! I cavalli si lanciano in una corsa frenetica, le contrade
nemiche hanno comportamenti diversi: una fugge, l'altra l'insegue
per ostacolarla, si avvicina il primo San Martino, un fantino viene
disarcionato dal fantino della contrada nemica un altro sogno
finisce, ma si è realizzato il sogno della contrada che non vedrà la
vittoria della nemica. Viene superata anche la curva del Casato
senza cadute, ormai i cavalli sono in fila indiana e si conclude il
primo giro. Ci sono altri due giri da compiere, qualche altro
fantino cade, qualche altro sogno si è infranto, mentre qualche
altro sogno sopravviverà per qualche secondo ancora, qualcuno ha già
il sapore amaro della fine di un sogno, l'amarezza e la delusione
per una carriera che non è andata come ci si aspettava. E si
vorrebbe scappar via per non vedere la contrada nemica concludere
per prima i tre giri di piazza. Scoppia il mortaretto i tre giri di
piazza sono stati effettuati e la prima contrada che li ha
effettuati è proprio la nemica.
E la fine di un sogno. E' l'inizio di un incubo. Via, si scappa in
contrada tra le mura amiche, tra la gente amica, per farsi coraggio
l'un l'altro ed affrontare non da soli i difficili momenti che
arriveranno, per trovare insieme il coraggio per affrontare chi
aspettava questo momento per umiliarti e deriderti. Nel territorio
amico si incontrano persone che piangono abbracciandosi, persone che
gridano disperatamente, persone che piangono da sole, persone sedute
in terra che non credono a ciò che è appena accaduto, persone che,
con sguardo smarrito, si guardano intorno alla ricerca di chissà
cosa, persone piene di rabbia che aspettano il fantino, la
disperazione regna ovunque.
Le bandiere vengono ritirate rapidamente, i braccialetti vengono
spenti, ed è questo il segno della sconfitta bruciante. La
gente che si chiede dove si è sbagliato, ognuno individua un errore
o uno sbaglio di valutazione, ma in questi momenti è il capitano la
persona che più si chiederà cosa non abbia funzionato, dove abbia
sbagliato dopo contatti, accordi, strategie fatte nella convinzione
e con la certezza di aver fatto tutto ciò che era in suo potere per
avere un risultato diverso. E' il capitano della contrada, nella sua
solitudine, con la sua amarezza, con la sua delusione a dover
trovare le risposte e a dover affrontare l'incomprensione dei
contradaioli.
Da un'altra parte della città si porta il capitano vittorioso in
trionfo, si porta il fantino vittorioso in trionfo, si abbraccia e
si bacia il cavallo vittorioso, si tocca e si bacia il “cencio”, ci
si abbraccia, si canta, si piange di gioia, suona la campanina, si
sente la voce dei tamburi che suonano al passo della vittoria, si
brinda, si fanno cortei con il “cencio”, con le bandiere e gli
immancabili tamburi, non ci si toglie il fazzoletto, non si tolgono
le bandiere, i braccialetti rimangono accesi.
Il sogno si è realizzato. Ma questo è il racconto di tutti i palii
corsi e dei palii che si correranno, è l'allegoria della vita di
ognuno di noi, con le sue delusioni, le sue soddisfazioni, le sue
amarezze, le sue gioie, i suoi sacrifici, i suoi risultati positivi,
i suoi risultati negativi, i suoi sogni realizzati, i suoi sogni
infranti.
Il palio è un'allegoria della vita che dura un anno per tutti gli
anni e si consuma in settantacinque secondi, per due volte l'anno e
dopo si aspetta il prossimo, che sarà più bello … e la storia
ricomincerà sognando il medesimo sogno con una fine diversa per
alcuni con la medesima fine per altri: è sempre così, è stato così
per le generazioni passate, è così per le generazioni presenti, sarà
così per le generazioni future.
Si è sognato, si sogna, si sognerà.
2
luglio 2007, la vittoria dell’Oca... un anno dopo (07-2008)
E’ facile
scrivere immediatamente dopo l’evento dei pensieri, delle emozioni e
dei coinvolgimenti che ti passano nella mente sulla vittoria di un
palio voluto anche per cancellare i ricordi di una vittoria di un
agosto che in Fontebranda non è passata inosservata!
E’ passato poco più di un anno da quel giorno, ma quante cose sono
accadute in questo tempo! E che sapore ha oggi quella vittoria?
Molti dei miei ricordi sono vivi, ma forse qualche altro ricordo di
quei giorni si è perso nelle ombre che il tempo ha donato a noi
esseri umani.
Ricordo con chiarezza che quando partii da casa salutai Anna, la mia
sposa, dicendole che avevo una strana sensazione: temevo che in quei
giorni sarebbe accaduto qualcosa di strano, non sapevo cosa di
preciso, ma quella sensazione, dell’accadere di un fatto
inaspettato, inimmaginabile, qualcosa che avrebbe avuto un
significato rilevante, non mi voleva abbandonare e in certi momenti,
confesso, sembrava più di una premonizione.
La mattina della tratta, come mio solito, andai ad aspettare
l’arrivo dei cavalli in Piazza, per me quel momento è l’inizio della
festa. I cavalli cominciarono ad arrivare alla spicciolata ed io
controllavo la presenza dei cavalli verificando i nomi sull’elenco
che un amico mi aveva fatto avere. Ecco i cavalli sono passati sulla
soglia dell’Entrone. Ora in piazza cominciano ad arrivare i fantini,
i popoli contradaioli, i cavallai veri e gli “esperti” di cavalli.
La piazza comincia ad aspettare le prove. Spara il mortaretto, il
rullo del tamburo chiama la prima batteria: questo è il primo atto
della Festa; poi si succedono le altre batterie. Ora comincia la
prima trepidazione. I cavalli che i Capitani non hanno ritenuto
idonei cominciano ad uscire: i commenti sono sempre discordi: perché
hanno scartato questo; perché hanno scelto quello; allora si va
verso il “basso”. No! Le scelte indicano un palio verso l’”alto”.
Le emozioni forti però cominciano ora, si pensa che il cavallo
“bono” capiti sempre agli altri e a te tocchi sempre in sorte la
solita “brenna”. Il Sindaco comincia a far scendere sulla piazza la
Sorte estraendo il numero del cavallo ed una Contrada. La sorte si
diverte a dare questo o quel cavallo ai popoli contradaioli: alcuni
escono di piazza cantando dopo aver saltato per la gioia di avere
avuto la sorte a favore. Altri no!
Il popolo Ocaiolo, quel giorno, uscì dalla piazza esprimendo qualche
dubbio sul cavallo avuto in sorte ( non si è saltato e cantato con
entusiasmo). Ma si va in Contrada per vedere da vicino il cavallo:
Fedora Saura una bella cavalla che aveva esperienza di palio.
Si comincia a fare il nome del fantino, chi è contento, chi esprime
qualche dubbio, chi è scettico.
La sera si va a vedere la prima prova, poi si va a vedere il
cavallo, cercando di comprenderne le reali condizioni.
Così passano i giorni fino alla sera del 2 luglio, qualche bevuta,
qualche scambio di parole con chi si pensa sia più informato o
solamente più esperto, cercando di nutrire la più bella delle
speranze o soltanto per scacciare l’incubo della purga.
Ricordo che una sera, parlando con un amico di una contrada non
propriamente amica dell’Oca, delle varie possibilità per la vittoria
di questa o quella contrada, lui lanciò la possibilità che l’Oca
potesse vincere e da come parlava era abbastanza convinto di ciò che
sosteneva e sembrava anche ben informato. Pensai, non lo nascondo,
che forse cercava informazioni sulle condizioni del cavallo ed
eventualmente sulle chiacchiere circa la strategia dell’Oca.
Espressi la mia scarsa convinzione circa la possibilità di vittoria:
il cavallo pur essendo in forma non aveva fatto vedere niente, il
fantino pur essendo bravo e coraggioso doveva dimostrare ancora
tutto. In piazza ci sarebbero stati cavalli e nomi più prestigiosi.
La mia abitudine ormai consolidata da anni è quella di fuggire dalla
folla, di vivere la carriera da solo in compagnia dei miei pensieri
sentendo e interpretando i rumori della piazza che vengono da
lontano, in attesa che si apra una finestra e una voce sconosciuta
gridi “ E’ …..!”, e la tensione accumulata nei giorni passati e i
quell’ultima ora finisce.
Non sapendo dove andare per trovare un po’ di tranquillità e volendo
essere al di sopra delle emozioni, volevo mascherarmi da turista,
quel giorno decisi di andare a Provenzano per aspettare il Palio
conquistato da qualcuno. C’era parecchia gente, non pensavo
naturalmente di essere solo. Il tempo passò lentamente. Il cellulare
squilla, il cuore batte forte: un messaggio “E’ Oca ma il palio l’ha
preso il Nicchio, la bandiera esposta è blu”. Cosa stava succedendo?
In quel momento di confusione una donna con il fazzoletto del
Nicchio passa correndo verso la chiesa di Provenzano gridando:
“L’Oca l’ha preso nel culo!!!” guardando un ocaiolo con il
fazzoletto che non sapeva se toglierlo o tenerlo.
Non capivo cosa stesse succedendo, mi arrivavano messaggi che
confermavano che l’Oca era avanti all’ultimo bandierino, ma che il
palio l’avevano tirato giù i nicchiaioli. Il grido di quella donna e
l’incertezza degli eventi mi facevano crescere la rabbia e lo
sconforto per ciò che stava accadendo, mi informavo se i
contradaioli che pensavano di avere diritto al palio fossero venuti
a contatto, le informazioni che giungevano dicevano che a parte
qualche lieve “carezza”, tutto era tranquillo. Ma non si riusciva a
capire chi avesse avuto il diritto di andare a Provenzano, io ero lì
ad aspettare. Ora si cominciano a sentire le voci dei contradaioli
festanti che corrono verso la chiesa, la visione è coperta dalle
costruzioni, i canti non si distinguono, il cuore batte forte …
quali saranno i colori che appariranno.
Ma la parola “Paperone” è chiara … “E’ OCA!”.
La donna del Nicchio ritorna verso i suoi confini, con aria mesta e
con passo svelto e una frase la raggiunge: “Fa male prenderlo nel
culo quando non lo si aspetta!!”.
La vendetta è un piatto che va servito freddo.
Gli occhi si riempiono di lagrime gioiose e liberatorie, il popolo
di Fontebranda felice entra in chiesa: chi canta, chi piange, chi si
spoglia, chi si abbraccia e chi si bacia.
I bambini guardano stupiti gli adulti che si lasciano andare a
dimostrazioni di gioia che non capiscono, ma che tra pochi anni
saranno le loro emozioni a fargli compiere gli stessi gesti dei loro
genitori, dei loro fratelli, dei loro nonni, ma quella volta saranno
coscienti del perché.
Vedo la folla compatta, unita nei sentimenti di vittoria, una folla
che fin da quando era bambina ha calpestato le lastre della
Contrada, è la folla dei Contradaioli. Entro anche io in chiesa
insieme con la moglie di un amico, i miei occhi sono pieni di
lagrime come i suoi, come quelli di tutti, ma mi sento solo, e mi
chiedo: “Fino a che punto questa vittoria mi appartiene? Per molte
di queste persone sono solo un turista, per altre sono solo un
simpatizzante, per altre sono nessuno. Ma è questo che conta? O è
ciò che si sente nel proprio cuore?” Il contrasto è che poi quando
esco dai confini della Contrada, coloro che mi conoscono mi
considerano un Ocaiolo a tutti gli effetti.
Questa vittoria mi appartiene.
Una cosa che non dimenticherò mai: la sera che mi son messo a
suonare la Campanina della Contrada: tiravo la corda con tale forza
ed entusiasmo per far sentire quel suono a tutta la città e non la
volevo lasciare, poi l’ho ceduta ed incitavo chi la suonava a
metterci più entusiasmo per far diffondere quel suono nei cieli
delle altre Contrade per far sentire a tutti la voce dell’Oca che
aveva vinto il Palio.
Ho partecipato anche al corteo nel Campo, ma i sentimenti che mi
hanno turbato sono gli stessi di cui ho scritto in passato e sono
rimasto profondamente deluso delle reazioni degli spettatori.
I cortei ai quali ho partecipato mi hanno dato sempre quella
sensazione di profonda solitudine tra i Contradaioli, ma ciò è
normale: per essere contradaioli non basta essere battezzati e
pagare il protettorato, bisogna vivere la contrada quotidianamente,
ma queste sono altre considerazioni.
Il ricordo più emozionante di quel giorno è la firma di Foffo sul
mio fazzoletto, ora che Foffo non è tra noi, quella firma e quella
data hanno un sapore diverso, non è solo il ricordo di un evento, un
gesto di stima e di affetto di Foffo nei miei confronti, è il
ricordo di una vittoria che ha il sapore di un desiderio che alla
fine si è compiuto.
Non è poi difficile scrivere delle emozioni passate e dei ricordi
quando si vivono profondamente, ai prossimi ricordi.
Del
corteo festeggiante la vittoria
(08-2006)
Anche il 2006 ha consegnato i suoi Palii alla storia e alle Contrade
della Pantera e della Selva. Mentre il sole è già tramontato, dopo
il tradizionale canto del Te Deum di ringraziamento, la campanina
della Contrada annuncia con i suoi rintocchi la vittoria, la gioia e
l’orgoglio dei propri contradaioli. La città rapidamente cambia
aspetto: i braccialetti, che nelle serate appena passate hanno
illuminato le strade contradaiole vengono spenti e smontati, le
bandiere che hanno segnato i territori delle Contrade vengono
frettolosamente ritirate, solo la Contrada vittoriosa rimane
illuminata e con le bandiere orgogliosamente esposte.
Il Campo che fino a qualche minuto prima era gremito da contradaioli
e forestieri cambia aspetto: i bottegai di piazza rapidamente
rioccupano il suolo pubblico, per il quale pagano la tassa di
occupazione, la gioventù comincia a ritrovarsi nei tradizionali
luoghi d’incontro e il brusio diventa padrone del Campo.
Da un’altra parte della città, ecco, si avvicina un rullo di
tamburi, in fondo alla strada si vedono le prime bandiere della
Contrada vittoriosa, orgogliosamente i Contradaioli cantano la
propria gioia: portano in trionfo il Palio appena vinto, mostrano
alla città che i loro sacrifici sono stati premiati, festeggiano la
sorte che li ha favoriti. Nei loro visi si legge la felicità,
l’orgoglio ed anche la quantità generosa di vino che già è scorsa
abbondante e il desiderio di alzare al cielo altri numerosi gotti in
questa notte magica, per brindare alla vittoria. Il Palio deve
essere portato in trionfo nel Campo dove è stato duramente
conquistato. Le prime bandiere si affacciano a Chiasso Largo, le
facciate dei palazzi storici fanno eco al rullo dei tamburi: per
secoli queste pietre hanno assistito a questa scena. Il Palio
lentamente passa tra due ali di folla, ora però si deve fermare: ci
sono i furgoni degli addetti allo smontaggio dei palchi, con un
percorso a serpentina il corteo festoso riesce a passare. Fatti
ancora pochi metri ed ecco il corteo di nuovo fermo: i tavoli dei
bottegai ed i forestieri impediscono il passo, il corteo rullante
prende una forma filiforme e riesce a passare tra gli ostacoli, da
qualche tavolo un turista fa lampeggiare distrattamente il flash
della macchina fotografica per poi riprendere a parlare con i suoi
amici. Qualcuno dei bivaccanti davanti ad un locale di mescita, con
un bicchiere di birra in mano, chiede distrattamente, rivolgendosi a
tutti e a nessuno che cosa sia quel rumore ed una voce senza colore,
anonima, risponde: “E’ il Palio che passa”. Lentamente il Palio, i
tamburi, le bandiere ed un popolo vittorioso tagliano, come possono,
la folla ed escono di Piazza.
Questa scena si ripeterà ancora nella lunga notte della vittoria.
Ora nel Campo si incontrano culture, tradizioni e costumi diversi. I
Contradaioli che portano nel Campo la loro storia secolare, il loro
onore, la loro felicità, cose alle quali nessuno delle migliaia dei
presenti può partecipare perché il loro cuore non sa capire quella
gioia e i loro occhi non sanno leggere ciò che è scritto in quegli
occhi luccicanti di lacrime di gioia. I turisti, che domani
lasceranno questa città, felici di aver visto una manifestazione
unica al mondo, e pensano già a quando racconteranno questo
spettacolo ai loro amici, stupendoli descrivendo loro lo sfarzo dei
“costumi”, i giochi degli “sbandieratori”, gli squilli dei “trombetti”,
lo scalpitare dei “cavalli da corsa” e parleranno della rivalità
contradaiola paragonandola al tifo per le squadre di calcio. E poi
ci sono tutti quei bivaccanti con la loro birra in mano, con la loro
aria distratta, persone forestiere che vivono in città, parlano
delle loro cose, dimostrando così che non hanno alcun interesse e
non rispettano le tradizioni storiche della città che li ospita,
dimostrando il loro disinteresse per ciò che sta accadendo ed è
accaduto. Capire ciò che sta accadendo ed è accaduto è privilegio
esclusivo di chi è nato ed ha calpestato le lastre della propria
Contrada, gli altri ci si possono avvicinare, possono tentare di
capire ma ci sarà sempre una linea di separazione ed è giusto che
sia così.
Queste mia cronaca e alcune mie riflessioni, a pensarci bene, sono
figlie della “globalizzazione”, sono figlie del cosiddetto
“villaggio globale”, non voglio sembrare un conservatore, ma mi
sento uno strenuo difensore delle tradizioni che appartengono alla
cultura di ognuno di noi e che ognuno di noi ha il dovere di
difendere e far conoscere agli altri nel giusto modo per farle
apprezzare e rispettare.
Come
sono diventato un ocaiolo extramoenia
(2004)
La domanda più frequente che mi sono sentito rivolgere dai senesi è
la seguente: ”Come mai sei così affezionato a questa città e come
sei finito nell’Oca?”. La risposta a questa domanda è una lunga
storia e comincia circa cinquanta anni fa. Ho dei ricordi vivi della
mia prima visita a Siena. Avevo circa nove anni e i miei genitori mi
portarono con loro a visitarla, la mia mamma mi preparò a questa
visita raccontandomi un po’ di storia e quelle che erano le
tradizioni centenarie senesi. Mi raccontò della repubblica senese e
della sua fine, mi raccontò delle soldataglie spagnole al servizio
dei Medici, della divisione della città in contrade e della loro
organizzazione, del Palio, del suo significato e della sua antica
tradizione.
Arrivare a Siena, vedere questa città medievale, praticamente
isolata dal resto del mondo e ai più sconosciuta, mi colpì
profondamente e Siena mi entrò nel cuore. Correva l’anno 1956.
Ricordo le visite ai monumenti ed alcuni ancora oggi li vado e
rivedere per ritrovare l’emozione di quei giorni; ho un ricordo
confuso di capannelli di persone che cantavano agli angoli delle
strade.
Il mio interesse per le forti tradizioni senesi nacquero una mattina
di quei giorni, credo che fosse di maggio: la mamma mi teneva per
mano, stavamo in piazza Matteotti e vedemmo passare la comparsa
della Contrada del Drago: vidi le bandiere, i contradaioli monturati,
sentii il suono dei tamburi che ancora oggi mi fa battere forte il
cuore e ricordo con estrema chiarezza il pensiero che in quel
momento mi attraversò la mente: “Mi piacerebbe essere un
contradaiolo!” e la mamma mi regalò una bandiera, per turisti, del
Drago: la mia prima bandiera!
Dopo quella mia prima visita, cominciai ad ascoltare alla radio le
radiocronache del Palio del grande Silvio Gigli, ricordo che il
racconto era così vivo ed appassionato che sembrava di vedere la
carriera alla radio. In quei giorni lontani l’Oca o la Torre, il
Nicchio o il Montone, la Lupa o l’Istrice, erano nomi di contrade
che si confrontavano nel Campo per vincere il Cencio.
Passati molti anni da quei giorni, cominciai a leggere tutto ciò che
mi capitava sulle tradizioni senesi, e più leggevo più mi rendevo
conto che il Palio e tutto ciò che in esso è contenuto come storia e
tradizioni era un patrimonio di Siena e dei Senesi; questo mi
convinse a non tornare a Siena per vedere correre il Palio, evento
esclusivo di Siena e dei Senesi.
Il mio attaccamento a questa città diventava comunque sempre più
forte: un viaggio a Siena l’ho sempre consigliato a tutte le persone
con le quali parlavo di città da visitare; anche quando mi sono
sposato, il mio viaggio di nozze toccò questa città e ci capitai nei
giorni a ridosso del Palio: il tufo era già stato messo in piazza e
vi si vedevano i segni degli zoccoli dei cavalli, ma nonostante
tutto ebbi la forza di andarmene per tempo, per non disturbare con
la mia presenza turistica, i giorni della festa della città. Correva
l’anno 1976.
In quei giorni sentii che c’era qualche misterioso legame tra me e
la contrada dell’Oca.
Negli anni successivi, fino al 1985, sono capitato a Siena poche
volte, ma continuavo a seguire con partecipazione del tipo “tifo per
una squadra di calcio” gli eventi palieschi dell’Oca: gioendo in
caso di vittoria, rattristandomi in caso di caduta del cavallo.
Ricordo i nomi dei fantini che hanno fatto la storia paliesca
dell’Oca in quegli anni.
Dal 1985 la sorte mi portò a Siena almeno tre o quattro volte l’anno
e per più giorni.
Ricordo che come arrivavo in città, dopo aver lasciato l’auto da
qualche parte, la mia prima tappa era il territorio della contrada
dell’Oca: avevo la necessità di calpestare le lastre di via della
Galluzza, di via Santa Caterina, di bere alla fontanina
dell’Incrociata, dovevo vedere Fontebranda. Ricordo che una volta
stetti un’ora e più ad osservarla, incantato ed emozionato come se
quella costruzione appartenesse alla mia storia. Sembrava quasi che
il mio comportamento dovesse rispondere ad un rituale scritto non so
da chi né quando, anche perché a Siena non avevo conoscenti: era
soltanto un’esigenza della mia anima e del mio cuore.
Calpestando le lastre delle strade dell’Oca, mi sentivo a casa; era
come se quelle lastre le avessi sempre calpestate fin dalla mia
infanzia, era come se avessi sempre visto quei volti di persone che
stavano per quelle strade, li riconoscessi come appartenenti alla
mia tradizione e sentissi nel cuore un affetto inspiegabile verso
quella contrada: questi erano i sentimenti di quei giorni.
E finalmente arriviamo agli eventi che mi hanno consacrato Ocaiolo.
Stavo in vacanza con mia figlia in provincia di Siena: era la fine
di giugno del 1999. La sera del primo luglio decidemmo di andare a
Siena per vedere il Palio. La mattina del due luglio arrivammo a
Siena e come al solito feci il mio giro abituale. Scendendo da
Vicolo del Tiratoio trovai la stalla aperta e mi fermai a scambiare
alcune parole con i barbareschi, poi andai in piazza per occupare i
posti al cancellato che mi avrebbero consentito di vedere vincere
l’Oca. Quella sera mi successero alcune cose stranissime: quando il
cavallo dell’Oca, Giove, arrivò all’ultimo bandierino e l’esplosione
del mortaretto riempì il Campo, scoppiai a piangere e dopo che gli
ocaioli ebbero preso il Cencio, mi diressi verso di loro e lo
toccai. Fu in quel momento che sentii come un fluido, come una
scossa elettrica che dal Cencio si trasmetteva al braccio e giungeva
diretto al mio cuore, ed ancora oggi quando nel museo guardo quel
drappo di seta, sento qualcosa che mi fa tremare l’anima. Al ritorno
ripassai alla stalla per presentare i miei ringraziamenti alla
contrada per mezzo dei barbareschi per le forti emozioni della
giornata.
Uno dei barbareschi, sentendo la mia voce, si girò dicendo: “ Il
signore di Roma che oggi ci ha portato fortuna”. Oggi quei due
barbareschi allora sconosciuti sono diventati per me come due
fratelli. Sono Lorenzo e Pino. I cognomi non servono.
Grazie a loro ebbi le indicazioni per richiedere ed ottenere la
tessera della contrada e l’anno successivo fui accolto tra il popolo
di Fontebranda ricevendo il battesimo ed il fazzoletto con i colori
dell’Oca.
Io, romano di antica stirpe, ero stato accettato a far parte del
glorioso popolo di Fontebranda: il mio sogno si stava realizzando
dopo quarantaquattro anni.
Da quel giorno la mia presenza in contrada per le occasioni più
importanti è costante, sento di far parte del popolo ocaiolo ho
avuto molte testimonianze d’affetto e di amicizia da parte di molti
ocaioli, so di avere a Siena un’estensione della mia famiglia, ma so
anche che ci sono molte persone che mi guardano con indifferenza e
forse con diffidenza perché non sono senese e mi sono intrufolato
nel loro mondo, riservato a chi ha avuto i natali a Siena, sia nato
sulle lastre che sulle zolle. Di ciò ne ho avuto testimonianza
facendomi sentire un estraneo, con mio dolore, in un particolare
momento di gioia per il popolo di Fontebranda, in quella che
considero la mia contrada e il mio popolo.
Le gioie, le soddisfazioni, le emozioni che provo quando sto in
contrada con il popolo ocaiolo possono essere argomento di altri
racconti, sono cose che non provo nella città che mi ha dato i
natali e alla quale sono profondamente attaccato.
E’ questa la storia, in breve, di come sono diventato un ocaiolo,
soprattutto ocaiolo extramoenia.
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