La
pagina di Fulvio Serra
Nel
ricordo di Letizia
(2005)
Oggi è il 14 agosto 2005 e l'aria che sferza il campanile del Duomo
di Siena è fresca e gentile, esattamente come quella del 16 agosto
1978, la data del mio primo Palio.
In verità non ricordo bene se la brezza fosse stata così carezzevole
perché era Ferragosto e quei giorni della mia estate di quasi
diciottenne erano per definizione stagionale, caldi. Erano i giorni
delle prime vacanze da grande, spensierate e avventurose, quindi
naturalmente iscritti in una stagione estiva ridondante, così
potente da abbacinare, da stordire con i profumi di serate e sagre
paesane di zucchero a velo e profumo "Drakkar" per i maschi e
fragranze da indovinare per la ragazza più carina.
Il 1977 era passato, in un respiro, coinvolgente come una vera
rivoluzione e aveva aperto le porte e gli occhi a noi che abitavamo
verso il nord lontano, ai piedi delle alpi occidentali, dove la
sera, d'Agosto, fa freddo e per cui più giù, sulle colline della
Toscana in vacanza deve fare caldo comunque.
Il settantotto era una bolla d'aria, una frenata esistenziale, quasi
un passaggio di coscienza dopo la frenesia di un anno mozzafiato. Ci
si provava a cambiare d'abito, in tutti i sensi, a guardarci intorno
con il timore di perdere i riferimenti di sempre; era il momento di
rallentare.
Nella mia abitazione, il mio dirimpettaio era senese: un Senese
vero; un Toscano di quelli che sanno raccontare il mondo con la
facilità della parola, con il calore ed il pathos delle favole. Era
lì a causa di quei giochi del destino che molti anni dopo mi
avrebbero incredibilmente condotto a percorrere il suo stesso
viaggio, ma a ritroso, da quei monti di confine, verso la Toscana a
un fiato da Siena, per mettere su famiglia e radici e per rimanerci
a crescere i miei figli e, forse, ad invecchiare.
Lui, il Senese, era un contradaiolo della Lupa e con un libro e
tanta favella, in molti incontri durante le serate di inverno, mi
fece innamorare del Palio, o meglio della sua idea romantica e della
sua essenza iperbolica, fuori dal mondo; un colpo di cannone con un
solo fuoco d'artificio, o....d'artifizio, magia, colori, storia e
leggenda evanescenti. Tre giri di giostra, un minuto senza respirare
e la vita tutta lì.
Così, in un riflusso di formidabile settantasette, il 12 agosto
dell'anno successivo la Vespa 125 affrontò energicamente e
regolarmente le strade strette del Colle di Cadibona, "gli svincoli
micidiali" di Genova;
l'Aurelia piena di bagnanti e barbagli di luce sul mare, fino a
Pisa, in Piazza dei Miracoli per fermarsi finalmente e riposare.
Già, su Piazza dei Miracoli allora si dormiva, anzi ci si accampava
con il sacco a pelo o anche solo con la coperta sull'erba perfetta e
umida. Piazza dei Miracoli era un'estensione del settansette e del
movimento, era un brodo di coltura di varie umanità: era un posto
bello per conoscere in fondo altri giovani, di varie "Contrade"
d'Italia e non solo.
Ancora strada. L'indomani. Empoli e poi su nelle colline del
Chianti, dove avrei trovato moglie e casa tanti anni dopo;
Poggibonsi, fino a Monteriggioni: incredibili le mura a
contrafforte, il medioevo e poi Siena, la meta; la Torre del Mangia,
l'ombrello protettivo sulle nostre capocce sudate e sfatte dopo
Kilometri formidabili. Non diventai Lupaiolo; fu il caso. Un caso
che divenne anche amaro, difficile, uno specchio della vita vera sul
sogno delle avventure giovanili. Dal Campo, mi buttai giù per
Fontebranda, Nobile Contrada dell'Oca, con un biglietto, un
indirizzo e un nome: Letizia, la nipote del mio vicino. Letizia era
più grande di me, era fidanzata con un senese che faceva invidia a
due ragazzini di Cuneo che non conoscevano poi il mondo e Siena era
il Rinascimento e la bellezza dei luoghi e della gente. Letizia
fu grande amica, come tutti i Senesi al Palio, quando con enorme
gentilezza e ironia muta accolgono coloro che vogliono addentrarsi
almeno un po' in quell'esperienza che poi prende per sempre. Ti si
avvinghia addosso anche se vieni dai monti e poi diventerai grande,
vivrai in altre città, conoscerai la tua compagna a Firenze e ti
stabilirai definitivamente al confine tra la provincia del Giglio e
quella del vessillo bianconero: a un soffio appunto da quel Campo
che è diventato nel frattempo dentro di te un piccolo fuoco
inestinguibile.
Letizia e il suo fidanzato mi fecero diventare Ocaiolo; sono certo
di poterlo dire, anche se da non senese il significato di essere
Ocaiolo e "Contradaiolo" è prfoondamente diverso. Gioisco delle
vittorie, non grido alla dannazione quando perdo in Piazza, ma vivo
comunque il Palio con uno slancio d'amore regale. Un amore commosso,
ma profondamente felice.
L'ultma volta che vidi Letizia fu alla cena propiziatoria del 1979,
dopo aver trasalito per Waterloo, il cavallo feritosi in prova. Era
sempre bella, austera e fiera di quel suo essere donna di Contrada,
contradaiola dell'Oca.
Un male vigliacco e subdolo le succhiò la vita e le forze. Morì
troppo giovane.
Non so che fine abbiano fatto il mio ex-vicino della Lupa e il
fidanzato e poi marito di Letizia e padre dei suoi figli. Quando
arrivo in Fontebranda e vedo l'affresco votivo, nel vortice dei
canti e del verde bianco rosso delle bandiere, penso a loro e a
quanto la vita ci riservi.
Per poi soffocare la nostalgia nel minuto senza fiato della
carriera.
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