E siamo giunti al 2011. L’anno della vittoria del cencio dedicato ai centocinquant’anni dell’Unità d’Italia. Un drappellone rivelatosi subito propedeutico per l’umore della Contrada, afflitta da situazioni complicate che hanno generato incomprensioni e alterato rapporti di amicizia che duravano da sempre. La medicina sembra aver funzionato se, come per incanto, si è riaffacciata quella serenità e spensieratezza di cui si era persa traccia. E’ stato bello sorridersi ed abbracciarsi ancora tutti sudati, mentre la campana dell’oratorio suonava a festa, mentre Giovanni e Marco venivano portati sulle spalle come cittini, mentre un’unica voce di popolo intonava il Te Deum fra le mura di Santa Caterina. La mia Contrada esisteva più che mai ed io l’amavo violentemente, tanto che avrei voluto distillare ogni singola goccia di quella gioia e chiuderla gelosamente in una bottiglia per il tempo a venire.
Così ho provato a descrivere, forse senza esserne troppo capace, questa immensa gratitudine verso l’Oca. La galoppata a ritroso nel tempo, attraverso la quale ho cercato di rintracciare quel filo che lega una parte della mia esistenza a questo luogo ideale e reale insieme, termina qui. Se potessi tornare indietro, probabilmente non avrei lasciato passare così tanto tempo prima di entrarci, ma la vita scorre in una sola direzione. Resta l’anima, quella sì, avvinta come una bandiera all’asta, in un bellissimo controsole di fine estate.

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Enrico, Massimo e Daniele. Col Tittia nel 2007 Cena della Prova Generale 2011 In compagnia dell'ultimo cittino.

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