E siamo giunti al 2011. L’anno della vittoria del
cencio
dedicato ai centocinquant’anni dell’Unità d’Italia. Un drappellone
rivelatosi subito propedeutico per l’umore della Contrada, afflitta
da situazioni complicate che hanno generato incomprensioni e
alterato rapporti di amicizia che duravano da sempre. La medicina
sembra aver funzionato se, come per incanto, si è riaffacciata
quella serenità e spensieratezza di cui si era persa traccia. E’
stato bello sorridersi ed abbracciarsi ancora tutti sudati, mentre
la campana dell’oratorio suonava a festa, mentre Giovanni e Marco
venivano portati sulle spalle come cittini, mentre un’unica voce di
popolo intonava il Te Deum fra le mura di Santa Caterina. La mia
Contrada esisteva più che mai ed io l’amavo violentemente, tanto che
avrei voluto distillare ogni singola goccia di quella gioia e
chiuderla gelosamente in una bottiglia per il tempo a venire.
Così ho provato a descrivere, forse senza esserne
troppo capace, questa immensa gratitudine verso l’Oca. La galoppata
a ritroso nel tempo, attraverso la quale ho cercato di rintracciare
quel filo che lega una parte della mia esistenza a questo luogo
ideale e reale insieme, termina qui. Se potessi tornare indietro,
probabilmente non avrei lasciato passare così tanto tempo prima di
entrarci, ma la vita scorre in una sola direzione. Resta l’anima,
quella sì, avvinta come una bandiera all’asta, in un bellissimo
controsole di fine estate.
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