Le avventure di Elefantocchio
nel paese di Salicollodi
C'era una
volta tanto, ma tanto, tanto tempo fa, un burattino di legno che, sarà stato
per il materiale con cui era costruito, o forse per costituzione genetica,
era duro, ma talmente duro, che di più duro 'un si poteva. Ora il babbo, che
anche lui in fatto di durezza pur non essendo di legno 'unne scherzava per
niente, un giorno, siccome né a lui né a nessuno degli abitanti del
piccolo borgo di Salicollodi (che tutti messi insieme erano più duri del
Sasso della Verna) gli riusciva bene fa' una cosa, che ora 'un mi
metto qui a spiegarvi, provò a mandarlo a scuola, per vedere se almeno lui
imparava qualcosina.
Elefantocchio, così si chiamava il burattino, prese la su' cartellina, il su
traicche e via verso la scuola che si trovava in un posto chiamato
Fontebranda. Per la strada incontrò un gatto che faceva il fantino e la su'
moglie, una volpe che dicevano si intendesse di magie. Questi, capito che il
burattino era un tantinello più duro del normale, decisero di giocargli un
tiro birbone. - O che ci fai tutto solo per la strada bel burattino? - disse
allora la volpe con voce suadente - Vo a scuola - rispose Elefantocchio. A
scuola? O che ci fai a scuola?- continuò il gatto. - Il mi' babbo mi c'ha
mandato per vede' se riuscivo a impara' a vince il Palio. -
Ma senti bella questa- fece allora la volpe. O che c'è bisogno della scuola
per vince' il Palio? Noe, noe, 'un ti fa confonde! Ascolta: noi due ti
possiamo assicurare che, se ci dai retta, ti si fa vince di sicuro, e senza
bisogno che tu vada a scuola. Ci dai due, trecento milioni e senza che tu te
n'accorga ti si porta un Palio novo novo.
-Affare fatto- dise il burattino e ritornò con i suoi due nuovi amici verso
il paesello, dove li accolsero con canti, balli e qualche fuoco d'artificio.
Arrivato che fu il giorno della grande festa la volpe prese un bel
pentolone, ci buttò dentro un poine di code di rospo, du' pipistrellini di
latte, una manciatina di ragni e fece bollire per una mezz'oretta a fuoco
lento.
-O che fai con questa pentola?- gli chiese Elefantocchio incuriosito.
-Vedi mio bel burattino, il gatto per vincere ha bisogno di un potente
destriero e con questa porzione infallibile il destriero arriverà. Vedrai,
piccino, vedrai. Tanto come la rigirata del '61- gli rispose la volpe.
Quando la pozione fu pronta il gatto e la volpe intonarono le parole
magiche- Votta Votta, Votta Votta- ed il destriero arrivò. La gioia di
Elefantocchio, del su' babbo, del grillo parlante, di Sussi e Biribissi,
insomma di tutti gli abitanti di Salicollodi, fu veramente smodata. -
Si vince! - gridavano tutti - Si vince! Ma le cose andarono diversamente e
il gatto invece di vincere fece un bel grufolone.
- Pazienza - disse la volpe. - Sarà per un'altra "votta" - Intanto siamo
stati primi - sentenziò il grillo parlante che era il più saggio di tutti. -
Si è vero siamo stati primi! Viva il Gatto! Viva la Volpe! - gridavano in
Salicollodi.
L'anno dopo, alla vigilia della festa, la volpe rifece il solito intruglio e
prontamente riecco arrivare il potente destriero, che era quello dell'anno
prima e infatti a Salicollodi qualcuno disse: - C'è ritoccato un'altra "votta"-
Ora però dovete sapere che a quel Palio, partecipava anche il paesello
rivale di Salicollodi: Fontebranda. Laggiù, sarà perchè c'era la scuola o
perchè erano più bravi per natura, il Palio lo sapevano vincere ed infatti
lo vinsero e Salicollodi rifece una figuraccia agli occhi del mondo. Il
povero Elefantocchio era un pò triste, dopo sì tragici eventi, ma il grillo
parlante, che per l'appunto era quasi un pozzo di scienza, lo consolò e gli
disse: - 'Un ti preoccupare!... Tanto come la rigirata del '61... -
Elefantocchio era un pò piccino per ricordarselo, anzi lui nel '61 'un era
proprio nato, ma siccome il grillo pareva così sicuro di sè e lui era tanto,
ma tanto duro, si consolò e disse tra sè: - Tanto col gatto e la volpe dalla
nostra parte ci si può riprovare un'altra "votta".
dal periodico "Siam delle Fonti" del luglio
1998
Una strana
tratta
Sta finendo il 1997, dopo le superiori mi sono
iscritto all'Università ed ho promesso ai miei genitori un impegno assoluto
per finire gli studi prima possibile. L’estate sembra lontana, l’anno prossimo
correremo entrambi i palii, ma sono ugualmente convinto di riuscire a
coniugare la passione paliesca con lo studio.
A maggio del '98,
dopo il giro, comincio a studiare per l’esame di diritto pubblico passando
le serate fra articoli della Costituzione e sistemi elettorali. Mi
riprometto che per il 29 giugno tutto deve essere compiuto. All’inizio di
giugno vado a controllare le date degli appelli e scopro con terrore che il
primo cade proprio la mattina di lunedì 29 alle ore 12,00, il secondo una
settimana più tardi ed il terzo più in là. Non ci penso un attimo mi segno a
tutti e tre dando per scontato che al primo non andrò e che mi giocherò tutto negli altri due.
Come si fa - dico io - a pensare al diritto
il 29 mattina, anche volendo non ci riuscirei. Il diavolo, si dice, faccia
le pentole ma non i coperchi ed eccomi servito: pochi giorni dopo i miei invitano a cena un
mio ex compagno di classe con i suoi genitori. Ad un certo punto il padre si lascia sfuggire
una frase del tipo “Poveri ragazzi.... L’esame il 29... _Come faranno?”. Il
mio istinto primordiale mi porterebbe ad afferrare la prima cosa che mi
capita tra le mani per tirargliela dietro. Mia madre vedendomi turbato mi
squadra e dice: “Alessio, tu dai l’esame vero?” Balbetto, ma alla fine mi
esce un sì. Che male c’è a fingere di dare un esame che al primo tentativo
va male e rimediare una settimana dopo, penso fra me e me. Così si arriva a
quel fatidico giorno, mi alzo alle sette e mezzo e vado in Comune a prendere
l’elenco dei cavalli. L’appuntamento con gli altri è fissato per le otto sotto il
palco del Mangia; ci siamo tutti, tesi come corde di violino per la presenza
della Torre che, vicinissima alla vittoria l’anno prima, non ci fa stare
tranquilli. C’è anche l’Onda, ma non si sa mai. Ore nove e dieci, cominciano
a far pulito e mentre sto per salire sul palco mi sento afferrare per la
maglietta, è mio padre che mi ricorda che oggi ho l’esame di diritto. Lo so
- rispondo -, sono passato a salutare gli amici e a pestare la terra -, gli
altri mi guardano, qualcuno di loro mi incoraggia “fatti onore, a prendere
quello buono ci pensiamo noi”. Farmi onore? Bel discorso, sto malissimo e so
che in queste condizioni l’esame salterà di sicuro. Mio padre non si fida e
mi accompagna fuori piazza minacciando che, se mi rivede lì, la prossima
rata delle tasse universitarie sarà a mio carico. In fondo è giusto così, ma
io sono ocaiolo fino al midollo e l’Oca corre. Imbocco via Banchi di Sotto a
testa bassa, sembro un cane bastonato, passo davanti al negozio di
elettroforniture, vedo in vetrina una radiolina ad un prezzo accessibile, mi
fiondo dentro e la compro. Mi sistemo l’auricolare all’orecchio, facendo
passare il filo sotto la maglietta, e mentre sto entrando in facoltà odo lo
scoppio del primo mortaletto che annuncia l'inizio delle batterie. A
mezzogiorno comincia l’esame, quindici domande per due ore di tempo, in piazza
c’è mio padre non posso rischiare, tanto vale provarci e accendere la radio
verso l'una, sperando di non essere beccati. Ma alle dodici e trenta non
resisto più, accendo furtivamente la radio, mentre continuo a scrivere: sono
a 6 domande su 15, per essere promossi ne servono 10. Le chiarine annunciano
che s’imbossola, il cuore accelera i battiti, il fiato viene a mancare. Il
secondo squillo mi blocca la penna, il mio compagno di banco, calabrese, mi
chiede se sto male causa l’esame. Sì sto male ma l’esame non c’entra. Il
Sindaco apre la prima ghiandina "Votta Votta" e un attimo dopo dice Torre,
divento bianco come un lenzuolo, inizio a sudare, quando La Fanfara tocca
all’Istrice cerco di tranquillizzarmi. Silver Sword panico….. Pantera fiuu,
Careca, dai dai dì Oca……., Onda! Beh almeno loro la Torre la contrastano
penso fra me e me. Vittorio, ora ora……,Oca! Emetto un sì troppo forte per
non essere sentito, il professore mi invita ad andarmene, l’esame salta ma
chi se ne frega. Arrivo in cima a via dei Rossi proprio mentre sta
rientrando il Bruco con Re Artù, corro giù per via Santa Caterina, in
piazzetta Pino sta pulendo il numero otto dalle possenti cosce di Vittorio,
Marco mi vede e mi chiede com'è andato l’esame; gli rispondo che sono
felicissimo di essere stato cacciato via e insieme cominciamo a cantare “S’è
sempre….” Alle due e mezzo squilla il cellulare, è mia madre. Fingendo di
essere dispiaciuto le rispondo: "L'esame è andato male scusami...."
dall’altra parte della cornetta un commento laconico: “Lo immaginavo, non
pensarci più, ora divertiti”…… La ringrazio della comprensione. Ventuno
giorni dopo con il fazzoletto al collo ed un palio in più strappo un
meritato 25. Alla fine, meglio di così....
Alessio Panti
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sogno '98 - pag. 1|
la festa - pag. 3|
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